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Il b...
giovedì 9 luglio 2009
Il nostro presidente non piace proprio agli americani
Nel dossier Usa sette righe su Silvio
Nel kit ai cronisti americani: pagine di biografie per ogni leader ma non per Berlusconi
Laggiù, a Washington, qualcuno non lo ama. Ricordate lo sfregio dell’anno scorso, quando le note consegnate ai giornalisti americani al G8 in Giappone traboccavano di accuse, malignità e veleni al punto da costringere la Casa Bianca a scusarsi? Bene: qualche cosa, al Silvio Berlusconi, è andata storta anche stavolta. Proprio nel giorno in cui incassava i sorrisi e l'abbraccio di Barack Obama, portato in maniche di camicia tra le macerie di questa città così bella e gentile, il malloppo di fogli dato ai giornalisti Usa per «infarinarli» intorno ai protagonisti del viaggio presidenziale rifilava al Cavaliere una nuova stilettata. Sette-righe-sette di micro biografia. Data e luogo di nascita, nazionalità, professione, ultima vittoria elettorale, data d'inizio del nuovo governo. Fine.
Uno sberleffo, in rapporto allo spazio dato a tutti gli altri. Certo, la massima sintesi a volte può essere un segnale di sobrietà. Basti ricordare come Eugenio Montale, coprendo automaticamente di ridicolo tanti suoi colleghi che descrivevano le proprie piccole faccende con sdiluvianti ricostruzioni di pagine e pagine quasi avessero da raccontare le gesta di Alessandro il Grande, riassunse se stesso sulla «Navicella» parlamentare: «Montale Eugenio. È nato a Genova il 12 ottobre 1906 e risiede a Milano. Dottore in lettere, giornalista, scrittore, poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1975». Questa asciuttezza ha un senso, però, se è scelta dal protagonista. Non se viene usata da una manina altrui per marcare maliziosamente un distacco. Per tentare di capirci qualcosa occorre appunto ripartire dall'anno scorso. Quando il «Press kit» preparato dall'ufficio stampa della Casa Bianca (con impresso in copertina il sigillo del presidente) a uso dei giornalisti americani al seguito di George Bush al G8 di Hokkaido, in Giappone, era piuttosto «inusuale» nel mondo ovattato dei vertici internazionali. Diceva infatti che il premier italiano «è uno dei leader più controversi nella storia di un Paese conosciuto per la corruzione e il vizio del suo governo». Lo liquidava come «un dilettante della politica che aveva conquistato la sua carica importante solo mediante l'uso della sua notevole influenza sui media nazionali», ricordava che era stato accusato di «corruzione, estorsione e altri abusi di potere che lo costrinsero a dimettersi nel 1994», rideva degli anni giovanili quando «aveva cominciato a fare soldi organizzando spettacoli di burattini a pagamento» e «faceva i compiti di scuola ai compagni di studi in cambio di denaro». Per non dire della iscrizione alla «sinistra loggia massonica P2 che aveva creato uno Stato dentro lo Stato». Parole pesanti. Soprattutto rispetto agli assai più moderati profili di certi presidenti africani al potere da decenni. Come il ritratto dedicato nel «Press kit» attuale all'uomo forte dell'Angola Josè Eduardo Dos Santos, di cui si racconta asetticamente che si è laureato in ingegneria petrolifera nell'Urss, che è diventato presidente dell'Angola dopo la morte di Agostino Neto nel 1979 (trent'anni fa: in un Paese martoriato dalla guerra civile...) e che è sposato con "lady Anna Paola dos Santos" che gli ha dato tre figli... Ma sproporzionate soprattutto rispetto a quello che era allora il capo della Casa Bianca, quel George W. Bush che aveva con l'«amico Silvio» un rapporto speciale. «I sentimenti espressi nella biografia non rappresentano il punto di vista del presidente, del governo americano o del popolo americano», si precipitò a scrivere Tony Fratto, il vice portavoce della Casa Bianca, riconoscendo che quel profilo usava «un linguaggio che insulta sia il premier Berlusconi che il popolo italiano».
E proseguiva: «Ci scusiamo con l'Italia e col premier Berlusconi per questo spiacevole errore». Il Cavaliere accettò le scuse: pietra sopra. Tutto poteva immaginare, quindi, tranne il nuovo sgarbo di ieri. Che è tutto nel confronto coi ritratti degli altri protagonisti e comprimari del viaggio di Barack Obama a l'Aquila, a Roma e in Ghana. Una pagina e mezza viene dedicata al presidente della Commissione dell'Unione africana Jean Ping, del quale si ricorda che si è laureato a Parigi in scienze economiche, che ha lavorato all'Unesco ed è stato ministro delle poste del Gabon. Due al presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. Due abbondanti al successore di Mandela alla guida del Sudafrica Jacob Zuma, quasi due e mezzo al turco Recep Tayyp Erdogan, due al brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, tre al cinese Hu Jintao e all'egiziano Hosny Mubarak, compresa la lista delle medaglie, delle decorazioni militari e delle lauree ad honorem ricevute in giro per il mondo. Due al presidente del Ghana John Atta Mills, nel quale si specifica che è originario di Ekumfi Otuam, che si è diplomato alla scuola secondaria Achimota, che ha studiato a Stanford e pubblicato una dozzina di libri tra cui «L'esenzione dei dividendi dalla tassazione sul reddito: una valutazione critica». E Berlusconi? Come dicevamo: sette righe. Contro le tre pagine di Giorgio Napolitano. Con la precisazione, vagamente offensiva, che quelle poche note sono tratte da BBC News e da un'agenzia della Associated Press. Come se l'anonimo autore della schedina non si fidasse del sito Internet ufficiale di palazzo Chigi (dove l'epopea berlusconiana viene ripercorsa, diciamo così, record dopo record) neppure sulle date. Dirà forse il Cavaliere, facendo buon viso a cattivo gioco: sono così famoso da non avere bisogno di piccole biografie. Sarà. Ma anche il Papa è abbastanza noto. Eppure il «Press kit» ha ripreso integralmente quattro pagine biografiche del sito ufficiale vaticano: dalla madre cuoca alla tesi di laurea ("Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant'Agostino"), dalla fondazione della rivista di teologia "Communio" alla laurea ad honorem del College of St. Thomas in St. Paul in Minnesota...
Gian Antonio Stella
da Corriere della Sera
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