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martedì 28 luglio 2009

Governo Berlusconi. Umilia e toglie poteri al Parlamento. La “rivoluzione” piduista quasi completata


di Fulvio Lo Cicero
Una deriva autoritaria senza precedenti nella storia della Repubblica, confermata dal ricorso a ripetuti voti di fiducia, nonostante la grandissima maggioranza di deputati e senatori. Unico argine ancora esistente, la Corte Costituzionale.


Non siamo più nemmeno alle “prove tecniche di regime” ma al regime. Questa constatazione la si trae – senza molta difficoltà – dalla tecnica oramai sperimentata da questo Governo nell’imporre i testi di legge al Parlamento. Una tecnica che consiste o nella decretazione di urgenza e nella conseguente contingentazione dei tempi di conversione in legge o nella sostituzione di interi “articolati” con i “maxiemendamenti”, solitamente proposti da qualche sconosciuto sherpa berlusconiano, e la correlativa richiesta di fiducia da parte della maggioranza, per limitare al massimo i tempi della discussione. Un’altra tecnica utilizzata è quella di predisporre disegni di legge delega, sui quali eventualmente porre la medesima fiducia, utili perché il Governo poi rediga la legge delegata, senza alcun passaggio parlamentare. In quest’ultimo caso, si tratta di un’altra espropriazione delle prerogative parlamentari. Infatti, l’art. 76 della Costituzione prevede che la legge delega sia un temporaneo passaggio di poteri normativi dalle Camere all’Esecutivo e debba pertanto contenere la determinazione dei tempi, dei principi e dei criteri direttivi che il Governo è necessariamente obbligato a rispettare nella formulazione della legge delegata. Ma se è lo stesso Esecutivo a formulare la legge delega (come pure prevede la Costituzione, che assegna proprio al potere esecutivo, fra gli altri, il potere di iniziativa legislativa), con il contingentamento dei tempi di discussione parlamentare, si verifica, contrariamente allo spirito costituzionale, un trasferimento permanente di poteri normativi al Governo, con conseguente esautorazione di qualsiasi ruolo del Parlamento.

È esattamente quanto avvenne durante il Ventennio mussoliniano, con la progressiva e rapida emarginazione delle due Camere e l’accoglimento di un modello di decretazione governativa che non dava più alcun modo al Parlamento non solo di esprimere una opinione ma perfino di “partecipare” al procedimento di produzione legislativa. Le Camere si trasformarono esattamente in quel “bivacco di manipoli” ipotizzati da Mussolini nel suo primo discorso alla Camera come Capo del Governo il 16 novembre del 1922, un luogo cioè dove alloggiare le truppe militarizzate del duce, sempre pronte a imbracciare manganelli e olio di ricino contro gli oppositori.

Perfino il contrappeso pur sempre rappresentato dal Presidente della Repubblica e dall’attribuzione al Colle di un potere di “filtro” di leggi palesemente anticostituzionali (che possono essere non promulgate e rinviate alle Camere per un riesame, con messaggio motivato) non può che apparire un debolissimo argine alla deriva autoritaria dell’attuale maggioranza. Per questo il Presidente Napolitano ha ragione quando asserisce che chi lo critica non conosce la Costituzione. Questi poteri di interdizione del Presidente sono infatti assai deboli. Lo sforzo dell’Assemblea Costituente fu quello di costruire un modello bilanciato di attribuzioni, assegnando al Presidente della Repubblica una indiretta partecipazione ai tre poteri (Legislativo, Esecutivo, Giudiziario), senza incarnarne alcuno in modo diretto. E così, l’articolo 74 (secondo comma) dispone che, in caso di riapprovazione di un testo di legge rimandato alle Camere dal Presidente, nella sua esatta veste originaria, già bocciata dal Quirinale, il Presidente ha l’obbligo di promulgarlo. Ora, Napolitano, attento e intelligente custode di quei poteri costituzionali, sta cercando in tutti i modi di evitare un conflitto pesantissimo fra sé e Berlusconi. In linea teorica potrebbe rifiutare la promulgazione della maggior parte dei provvedimenti di questa maggioranza, perché molti di essi calpestano la Costituzione ma se lo facesse, aprirebbe una stagione di perenne conflittualità fra Palazzo Chigi e Quirinale, con i risultati che tutti possono immaginare. Ecco che allora utilizza la strada della “moral suasion”, del tutto sconosciuta alle norme costituzionali, ma utilizzata sia da Scalfaro, sia da Ciampi e che consiste nel condizionare “ex ante” le decisioni dell’Esecutivo, per reindirizzarle nell’alveo costituzionale. Ma anche questa strada – che a Napolitano sembra comunque più percorribile rispetto al conflitto stabilizzato – è pur tuttavia irta di incongruenze, dato che, alla fin fine, consiste in una indebita ingerenza dei poteri presidenziali su quelli di impulso legislativo da parte del Governo.

All’attuale maggioranza, che sta svuotando di qualsiasi potere il Parlamento con la tecnica del voto di fiducia, tanto più strumentale quanto più appare evidente la grande predominanza di deputati e senatori di cui il Governo dispone dopo le elezioni dell’aprile 2008, manca soltanto la normalizzazione della Corte Costituzionale che, ora come ora, è l’unico Organo in grado di arginare la deriva autoritaria in atto, dato che, fra i suoi compiti, vi è quello centrale di “giudice delle leggi”, cioè di sindacabilità costituzionale delle norme approvate dal Parlamento. Ma, dopo la famosa cena fra due componenti della Corte e lo stato maggiore governativo, appare evidente che Berlusconi sta lavorando in quella direzione, anche se, in questo caso, le ipotesi di normalizzazione sono di più difficile realizzazione, dato che i cinque membri della Consulta nominati dal Parlamento devono ottenere una maggioranza qualificata (quindi anche l’opposizione deve votarli) e quelli nominati dal Presidente Napolitano certamente non possono che provenire da ambienti non sospetti di essere a libro paga del Cavaliere.

Da ciò la rilevante importanza che lo stesso Governo assegna a questo Organo, che in autunno esaminerà la dubbia costituzionalità del “lodo Alfano” e che, attualmente, stante lo svuotamento di poteri del Parlamento e la debolezza di quelli presidenziali, è l’unico serio contrappeso alla deriva berlusconiana di questa destra che assomiglia sempre di più ad un ridisegnato mussolinismo del XXI secolo.

da dazebao

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