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lunedì 24 agosto 2009

Una montagna di balle

Buona Visione !

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LETTERA DI PATRIZIA GENTILINI



Lettera al direttore inviata ai quotidiani dell'Emilia:

Forlì 1 agosto 2009


Gentile Direttore,
la recente scomparsa di giovani e giovanissimi per cancro nel nostro territorio ha riempito le cronache nelle ultime settimane: passata l’emozione del momento e lasciando perdere gli interrogativi che i singoli casi suscitano e su cui anche la Magistratura indaga, vorrei tornare a riflettere su questo tema così scottante. Riconosco che, specie il primo agosto, sarebbe più normale pensare alle ferie e cercare svago e distrazione, ma ci sono purtroppo problemi dai quali non ci si può distrarre, se non altro perché nessuno può ritenersene immune: secondo gli ultimi dati dei Registri Tumori in Italia un uomo su due ed una donna su due è destinato a vedersi diagnosticare un cancro nel corso della vita. Al di là delle benevole favole che qualcuno, da decenni, continua a raccontare e cioè che la soluzione del problema cancro è a portata di mano, che si tratta di un effetto legato solo all’ invecchiamento, che fra 10 anni nessuna donna più morirà per cancro alla mammella, la realtà è ben altra ed è sotto gli occhi di tutti.

Di fatto l’età di insorgenza dei tumori si è abbassata straordinariamente: da una recente ricerca risulta che in Italia gli interventi per cancro alla mammella in età giovane sono cresciuti in sei anni del 28.6%,e se da un lato diminuisce l’incidenza dei tumori correlati al fumo, specie nei maschi, sta drammaticamente aumentando l’incidenza di tumori che nulla o quasi hanno a che fare col tabagismo: linfomi, leucemie, cancro a rene, pancreas, prostata, tumori cerebrali ormai sempre più correlati anche con l’uso del telefonino…. I tumori nell’infanzia poi sono in drammatico aumento: in Italia +2% annuo (doppio rispetto alla media europea) e tra i bambini sotto l’anno di età l’incremento è addirittura del 3.2% annuo. Vorrei anche ricordare che l’incremento di cancro è solo la punta dell’iceberg del danno complessivo alla salute che stiamo recando ai nostri bambini: mi riferisco all’aumento di disturbi neuropsichici, intellettivi, relazionali, del comportamento, fino all’autismo, per non parlare dell’incredibile incremento di patologie allergiche, respiratorie, endocrino – metaboliche, diabete, disturbi alla tiroide, criptorchidismo, ecc. Cosa sta succedendo ?
Non sarà che ciò che alcuni medici, spesso definiti “allarmisti”, sostengono da anni è tragicamente vero?.
Vi invito a fare un semplice ragionamento: cosa mai vi può capitare se camminate in un campo minato? E’ ovvio che tante più mine sono state disseminate tanto più è probabile incapparci e saltare per aria….. Così è per il cancro e le “mine” cui mi riferisco sono cancerogeni noti da decenni quali benzene, arsenico, nichel, cromo, cadmio, piombo, diossine, per non parlare di PCB, particolato, pesticidi…. che continuiamo a riversare intorno a noi e di cui mai nessuno parla, visto che solo la CO2 ( che non è un veleno!) sembra meritare l’onore delle cronache! Da dati ufficiali emerge, ad es., che in Italia, nel pieno rispetto dei limiti di legge, abbiamo immesso in un anno in aria ed acqua: benzene 715.6 ton, arsenico 8.0 ton, cadmio 3.0 ton, cromo 140.0 ton, nichel 80.6 ton. L’ inventario europeo delle diossine ci dice che in un anno nel nostro paese ne sono state prodotte 558 grammi, ovvero, in media, circa 1,5 g al giorno: può sembrare poco ma rappresenta la dose massima tollerabile per oltre 10 miliardi (!) di persone… Sapendo che si tratta di molecole che hanno tempi di dimezzamento di decine/centinaia di anni e che quindi ogni nuova dose si aggiunge alla precedente, come la mettiamo? La nostra regione poi è al primo posto per uso di fitofarmaci e spargiamo in media 5.7 kg di prodotti chimici per ettaro. Ci siamo mai chiesti dove vanno a finire tutti questi veleni? Purtroppo ovunque e anche dove non vorremmo mai trovarli, ad esempio nel sangue del cordone ombelicale in cui sono centinaia le sostanze chimiche tossiche, cancerogene e nocive che si ritrovano stabilmente: qualcuno può pensare, in totale buona fede di assolverle?
Da tempo è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti ed agire per ridurre l’esposizione delle popolazioni agli agenti tossici promuovendo la Prevenzione Primaria.
Non è necessario per fare questo conoscere i minimi dettagli del processo della cancerogenesi o il ruolo che ogni singolo agente riveste: la letteratura segnala ormai, su larga scala ed in individui sani, come l’espressione di geni “chiave” si modifichi a seconda dell’esposizione a tossici ambientali e di conseguenza si alterino funzioni cruciali del nostro corpo aprendo la strada all’insorgere di neoplasie e non solo.
Il fallimento dell’approccio “riduzionista”, il vecchio paradigma secondo cui si analizza un agente per volta, senza tenere conto delle innumerevoli variabili biologiche e che non permette mai o quasi di giungere a conclusioni esaustive, è ormai sotto gli occhi di tutti. Fortunatamente nel mondo si infittisce la schiera di medici e ricercatori indipendenti che invocano un cambio di rotta nella strategia della guerra contro il cancro, ossia una drastica riduzione della esposizione ad agenti tossici e nocivi in tutti gli ambiti di vita, l’unica strada che finora ci si ostina a non imboccare con decisione. Eppure, in quei rari casi in cui questo si è fatto, i risultati non sono mancati: in Svezia, dove trenta anni fa sono stati messi al bando determinati pesticidi, seguendo le indicazioni di medici coraggiosi, oggi si registra una riduzione nella incidenza dei linfomi.
Si tratta di una strada difficile, che va contro enormi interessi, economici e non solo. M. Plank (premio Nobel per la Fisica) ci ricorda che “ i vecchi paradigmi vengono abbandonati solo quando coloro che su di essi hanno costruito la propria carriera e fortuna sono morti”.
Ma ricordiamo anche le parole di Samuel Epstein, un grande medico americano:”quasi tutti gli americani conoscono le pene causate dal cancro a parenti e amici. Il crimine è che molti di questi tumori sarebbero evitabili”; se trasferiamo queste parole all’infanzia ed alle giovani generazioni l’obbligo di abbandonare i vecchi paradigmi e di passare dalle parole ai fatti diventa ancora più pregnante e credo convenga a tutti noi riflettere, anche ai primi d’ agosto e sotto l’ ombrellone, sulla necessità di fare cambiare idea a chi di dovere prima che sia davvero troppo tardi per tutti !

Patrizia Gentilini, Oncoematologo
Associazione Medici per l’ Ambiente ISDE Italia

venerdì 7 agosto 2009

Berlusconi "eroe" del gasdotto? La "sorpresa" della Turchia



Una fonte del governo turco rivela il retroscena della firma dell'accordo South Stream
"Il premier ha chiamato: voleva partecipare alla cerimonia. Putin e Erdogan hanno sorriso"


ISTANBUL - Quando il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi ha definito come "un grande successo della diplomazia italiana" l'accordo siglato ieri tra Turchia e Russia sul gasdotto South Stream, il governo di Ankara si è stupito non poco. Lo rivela una fonte del governo Erdogan alla Reuters, che oggi riporta la ricostruzione della bizzarra "intrusione" di Berlusconi nella cerimonia della firma.

Gli accordi tra Mosca e Ankara per far passare il gas russo attraverso le acque turche del Mar Nero fino all'Europa erano "già stati conclusi - racconta la fonte alla Reuters - quando il governo turco ha ricevuto un'inaspettata richiesta dell'ultimo minuto da parte di Berlusconi che voleva partecipare alla cerimonia della firma" del premier russo Vladimir Putin e di quello turco Tayyip Erdogan, ad Ankara. La fonte aggiunge che si è creata una "certa sorpresa" quando ci si è resi conto che Berlusconi voleva rivendicare l'accordo come un suo successo personale.

"E' il tipo di cosa che può causare un problema diplomatico - dice ancora la fonte turca - Ma siccome si trattava di Berlusconi, ha solo fatto sorridere i due leader". La Reuters cita anche il sito del governo italiano che riporta la dichiarazione secondo cui il progetto South Stream è "un successo personale del primo ministro italiano". Per i turchi, una vera "esagerazione".

da Repubblica

Non leggete questo post! (messaggio a Silvio)


Non leggete questo post: è banale, troppo, troppo banale, forse il più banale che abbia scritto (finora). Apro Repubblica e nella consueta pagina dedicata a Berlusconi leggo il titolo, ripreso dal Nouvel Observateur in compagnia di altri media stranieri, su “Berlusconi ormai ricattabile”, con immediata e pavloviana querela di Ghedini, l’Avv. del Pres. Ma come "ormai"? Da quindici anni la meniamo, ce la menano, ce la nascondono sul passato dell’utresco di Silvio, e siamo solo ad "ormai"?

In compenso in un riquadrato c’è il sunto della conferenza stampa del Presidente del Milan (autosospeso per conflitto di interessi quando è a Palazzo Chigi…) che illustra la campagna acquisti, a Milanello. Ebbene, premetto che come capo azienda, sia del Milan che di Mediaset (e purtroppo tendenzialmente anche della Democrazia Italiana, e qui casca il ronzino…), Berlusca è insuperabile, il migliore. Ciò che sta facendo con il gioco delle tre carte, o delle tre noci con sotto il pisello (il suo?), tra Mediaset, Rai (direi Ray) e Sky ha del prodigioso. Quanto al Milan, vedrete che farà meglio quest’anno senza Kakà e con più motivazioni che non l’anno scorso: un genio, il Berlusca, in questo campo. E come si dice a Roma, dove tutto finisce in caciara, qui tutto finisce in comunicazione.

E infatti dal sunto della conferenza stampa citato c’è lui, il Nostro Eroe, quello che prima del potere politico mentre la sinistra dormiva o si faceva i fatti propri inanellava palazzi, tv e calcio negli ultimi trentacinque anni dell’Italia contemporanea, c’è lui che decodifica lo stato dell’informazione.

Plaude al giornalismo sportivo, che non fa domande al contrario del giornalismo politico (lui parla in generale ma intende quella parte che non è dalla sua o al suo, dico parte o libro paga), in base all’aurea regola che il tifoso legge solo della propria squadra, e solo il bene, le critiche a sfondo favorevole, le conferme, se no non compra più il giornale…

Silvio, sei un mostro, anzi un nuovo mostro per citarmi addosso con l’ultimo titolo del mio libro, e mostri sono i giornalisti sportivi che effettivamente Tu descrivi alla perfezione, che sai trattare avendoli trattati prima dei colleghi politici. Quello che non dici, perché è implicito, nelle cose, è però che hai ridotto il Paese a un derby calcistico permanente e i giornalisti per lo più a una manica di tifosi, in tutti i campi, a partire da quello leggermente impervio della politica, della libertà (popolo della) di espressione, della democrazia “ormai”- come scriverebbe Repubblica citandomi se fossi straniero- minata quasi irrimediabilmente.

Ma che ci frega, tifiamo Milan e vedrete che ci leveremo delle soddisfazioni quasi insperate. Lì Lui è quasi infallibile.

E non dimenticate: non leggete questo post!

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Calabria, Acquaformosa si "deleghizza"


"Volete cambiare il Tricolore. Volete le gabbie salariali, e poi presidi, magistrati, poliziotti e carabinieri, impiegati dell’Inps e del catasto, tutti con il “passaporto” della Padania in tasca e il dialetto bergamasco sulla lingua. Insomma: volete sfasciare l’Italia. E noi ci deleghistizziamo». Incespica sull’ultima parola - un neologismo brutto ma necessario - ma riesce a dirla Giovanni Manoccio. Un sindaco che ha già sollevato un vespaio di polemiche. Perché il suo Comune (per sadico gusto della suspense vi diremo dopo come si chiama e dove si trova) è il primo d’Italia ad essersi «deleghistizzato».

Tranquilli, è tutto a posto. C’è una regolare delibera, approvata il 4 agosto all’unanimità, che prevede finanche l’installazione di «pannelli all’interno della cittadina con l’indicazione di “Paese deleghistizzato”». Ma c’è anche di più, l’approvazione di un decalogo sui «comportamenti da tenere nei confronti di tutti i popoli, compresi quelli celtico-padani». Dieci punti che vale la pena leggere perché sono il trionfo dell’ironia (merce rara in questa Italia intristita), con le citazioni dei vari «uomini di pensiero» leghisti (da Gentilini a Salvini, per capirci) modificate fino a renderle politicamente corrette. «Nel nostro paese non togliamo le panchine per gli immigrati, anzi le dotiamo di cuscini» (Citazione di Gentilini, il sindaco sceriffo). «Nel nostro paese non disinfettiamo i luoghi dove vivono gli immigrati: i nostri luoghi sono puliti naturalmente» (Tanto per sistemare il Borghezio che spruzzava spray sui vagoni frequentati dalle ghanesi). «Da noi è vietato scrivere “Forza Etna” o “Forza Vesuvio”: ma si può scrivere: “Fate l’amore non la guerra”. (E così quelli del pratone di Pontida sono contenti). «Nel nostro paese è vietato fare gli esami di dialetto per l’insegnamento nelle scuole: basta l’esame di abilitazione nazionale». (Tanto per avvertire la ministra Gelmini). «Nel nostro paese non sono ammesse le ronde: è consentito il libero passaggio e lo “struscio”». (Maroni ascolti). «Sono abolite le magliette con scritte offensive verso l’Islam: meglio essere nudi che cretini». (Calderoli, invece, si veste). «Nel nostro paese non si può gridare “Roma ladrona”: si può cantare “Roma capoccia”». Ma sono gli ultimi punti del decalogo a spiegarci in quale regione si trova il Comune ribelle e come si chiama. «Nel nostro paese non occorre affermare di avercelo duro: perché tutti lo sanno» e «Alberto Da Giussano da noi è ritenuto un dilettante al cospetto del nostro Giorgio Castriota Skanderbergh».

Siamo in Calabria. Terra di uomini tosti, di briganti e poeti, mafiosi e filosofi pazzi che ancora sognano la «Città del Sole», sinceri patrioti e un esercito di «Cetto La Qualunque» («Cchiù pilu pi tutti») pronto a ridicolizzare il celodurismo bossiano. E siamo ad Acquaformosa, nel cuore del Pollino. Paese di tradizioni antichissime, una delle rare isole linguistiche italiane, qui dal 1500 si parla arberesh, la lingua degli albanesi che trovarono rifugio in queste plaghe dopo la sconfitta di Giorgio Castriota Skanderbergh. Lingua, usi, costumi e tradizioni culinarie sono state conservate con gelosia. «Mire se na erdhet Firmoza» (benvenuti a Firmoza, Acquaformosa), c’è scritto all’ingresso del paese. «Timba piasur» (Pietra spaccata) è il luogo dove si trova la chiesa più bella del paese, quella di Santa Maria al Monte, nei secoli IX e X rifugio dei monaci che volevano salvarsi dalle persecuzioni islamiche. Se poi volete respirare atmosfere romaniche e tradizioni greco-bizantine e occidentali che si sono fuse nel corso dei secoli, dovete calpestare il sagrato della chiesa di San Giovanni Battista, nel cuore di «Firmoza».

Ma, più del monumento a Giorgio Castriota, sono i volti delle persone a raccontare la magia di questo luogo che ha imparato il valore grande della tolleranza e della convivenza tra genti diverse. Un pezzo minuscolo d’Italia che però ha partecipato, e sempre in prima fila, alla storia patria. Annunziato Capparelli, intellettuale e medico, il 3 aprile 1848 fondò la «Giovane Italia» e partecipò con altri sedici paesani alla «insurrezione calabra». Tra i Mille di don Peppino Garibaldi si contano molti «firmosioti». Giovanni Malescio, nome di battaglia «Vanni», durante la Resistenza fu comandante della Prima divisione della «Brigata Garibaldi».

«Questa è Italia, è Sud, è Calabria», dice il sindaco Giovanni Manoccio. «Non ce l’abbiamo con la Lega. I leghisti, per certi aspetti e per la loro folkloricità mi sono pure un po’ simpatici, ce l’ho con quella cultura che appartiene a certe “menti illuminate” del nord che guardano la Calabria con disprezzo. La mia è una provocazione, nessuno la può leggere come un episodio di razzismo al contrario. Noi siamo un popolo accogliente, tollerante, siamo una minoranza linguistica che quotidianamente si spacca la schiena per tirare avanti e per conservare le nostre migliori tradizioni, un patrimonio civile e culturale dell’Italia intera. Ma che ne sanno a Milano? Ci ho vissuto per quattro anni da meridionale emigrante. Lassù sanno poco dei nostri problemi, alleviamo i nostri figli con cura, li facciamo studiare e poi se ne vanno al nord ad arricchire l’economia di quelle regioni». Rabbia meridionale, provocazione, ironia, anche sano sfottò, che però nascondono un malessere vero. Che richiederebbe menti allenate alle buone letture per essere compreso. Il ministro leghista Luca Zaia ovviamente non capisce. E replica come sa fare.

«Il sindaco di Acquaformosa ha la mente smarrita. Venga a risciacquare i suoi deliri e i suoi fantasmi nelle acque del Po». Il sindaco sorride «qui da noi l’acqua è così pura che se proprio devo risciacquare...». Poi, però, si fa serio e rilancia. «Quando leggo certe prese di posizione finanche di ministri del governo con la tessera leghista in tasca e il fazzoletto verde in bella mostra, rabbrividisco. Poi penso che questi signori non conoscono l’Italia dei mille campanili e delle tante diversità. E allora conosciamoci meglio, noi siamo pronti a gemellarci con un paese del nord. Chi verrà a trovarci potrà soggiornare a nostre spese. Li porteremo in giro ad ammirare i luoghi, li faremo vivere a stretto contatto con la nostra gente, potranno ascoltare la parlata dei vecchi, la nostra lingua, ammirare le bellezze del paese, ma anche sentire le speranze dei giovani. Quelli ai quali la ministra Gelmini voleva cancellare la scuola elementare». Una storia dell’autunno scorso. Anche allora Acquaformosa fece parlare di sé: mancava il numero esatto dei bambini previsti dalle nuove norme e la scuola rischiava di chiudere. I piccoli delle elementari destinati a farsi qualche chilometro ogni giorno per studiare. E allora il paese intero si mobilitò, i nonni (anche qualche ultraottantenne) si iscrissero in massa alla prima classe. Vecchi e giovani, come ad Acquaformosa fanno dal 1500, salvarono il paese e la tradizione.

06 agosto 2009

L'Unità

giovedì 6 agosto 2009

I petrolieri: il prezzo non diminuirà. Il governo si accuccia



ROMA - Non se ne parla proprio. I petrolieri, a muso duro, hanno risposto picche ad una flebile richiesta del sottosegretario allo sviluppo economico,Stefano Saglia , per una minima riduzione del prezzo d prezzo dei carburanti. Il prezzo è giusto, gli aumenti sono giusti,governo e consumatori se ne facciano una ragione. Per le compagnie petrolifere non ci sono margini per alcuna riduzione. Neanche di quei 2 centesimi di euro al litro che aveva chiesto il ministero dello sviluppo economico.

Il responsabile delle relazioni esterne dell'Unione petrolifera, Marco D'Aloisi, al termine dell'incontro con il sottosegretario afferma: "Le compagnie nella loro piena autonomia ritengono non ci sia spazio per una riduzione dei prezzi". Poi non avendo di meglio da fare attacca le associazioni dei consumatori e i giornali per "l'ingiustificato" che avrebbero dato alle notizie degli aumenti. Tale rilievo sarebbe alla base delle proteste contro la crescita dei prezzi dei carburanti.Insomma se i giornali non ne parlavano le associazioni dei consumatori non avrebbero saputo e i cittadini sarebbero andati in vacanza felici e contenti. Per essere il responsabile delle relazioni esterne, quel tal Marco d'Aloisi deve avere un ben alto concetto della libertà dell'informazione. Ma nell'era berlusconiana c'è poco da aspettarsi.
in www.dazebao.org
Bocciata anche l'ipotesi di una previsione trimestrale dei prezzi (così come già avviene per il gas e l'elettricità) che è allo studio del ministro Scajola: "Sarebbe un ritorno all'indietro, sarebbero prezzi amministrati e, negli anni '70, quando c'erano i prezzi amministrati molte compagnie hanno lasciato il paese". Piuttosto "il governo potrebbe sterilizzare l'Iva", aggiunge D'Aloisi che ha il coraggio di bussare a quattrini. Il sottosegretario di fronta a tanta arroganza si limita a dire che “ in certe circostanze il governo può anche perdere la pazienza". Poi supplica i petrolieri perlomeno di non praticare nuovi aumenti nei giorni dell'esodo di ferragosto. "Se venisse meno l'impegno delle compagnie in questo senso- azzarda- valuteremo la possibilità di sanzioni amministrative" dice Saglia. Poi forse spaventato di essersi spinto troppo oltre e fa marcia indietr. Non parla più di sanzioni amministrative: "Noi abbiamo chiesto di ridurre i prezzi ma- afferma- non siamo in un regime sovietico, al massimo possiamo operare una moral suation nei confronti delle compagnie".
Il richiamo al “regime sovietico” rende i petrolieri ancor più arroganti: "I rincari sono ampiamente giustificati e crediamo - conclude D'Aloisi-che non ci sia spazio per ridurre il costo alla pompa. Finché siamo in un regime di libero mercato, il costo della benzina segue l'andamento del mercato" Ma quando il prezzo diminuisce ci si dimentica subito di seguire il mercato,ma questo il sottosegretario non lo dice

Vietato tutto

Vietato dissentire.
Messina. Un cittadino esprime il suo dissenso sul ponte sullo Stretto in presenza del ministro Angelino Alfano. Gli sgherri manzoniani lo trascinano via.

Vietato ridere.
Rosolini. Un cittadino ride mentre Sgarbi difende il presidente della regione Sicilia Lombardo. Gli sgherri manzoniani lo trascinano via.

Vietato manifestare.
L’Aquila. Un gruppo di cittadini espone uno striscione per criticare la gestione del dopo-terremoto durante la visita del presidente del consiglio. Gli sgherri manzoniani glielo impediscono.

È boom di auto blu


In Italia sono quasi 650mila, un numero da record che continua a crescere
L'Italia è il Paese dove si utilizza il maggior numero di auto blu del mondo. In soli sei mesi il parco macchine della Pubblica Amministrazione è infatti cresciuto del 2,7% tanto da raggiungere oggi le 624.330 unità (sei mesi fa erano 607.918), cioè 10 volte più che negli Stati Uniti.
A evidenziare il record negativo italiano ci ha pensato Contribuenti.it, Associazione Contribuenti Italiani, che grazie a uno studio condotto dallo Sportello del Consumatore, ha conteggiato le auto blu utilizzate nel Belpaese, prendendo in considerazione sia le vetture private sia quelle in leasing, a noleggio operativo e a lungo termine, presso lo Stato, Regioni, Province, Comuni, Municipalità, Asl, Comunità montane, Enti pubblici, Enti pubblici non economici, Società misto pubblico-private e Società per azioni a totale partecipazione pubblica.
Nonostante la legge del 1991 che limita l'uso delle auto blu esclusivamente a Ministri, Sottosegretari e ad alcuni Direttori generali, tagli e provvedimenti reali non sono mai stati effettuati.

da Libero Portale

Vergogna: Gasparri-Dell'Utri contro il termodinamico italiano



Puntuale, come il cliente in un blind-date con la escort di turno, ecco arrivare la mozione Gasparri-D’Alì-Quagliarello-Dell’Utri, presentata al senato il 14 luglio 2009, ostativa allo sviluppo del solare termodinamico italiano.

Età media 57 anni, giocando una partita a brain-training, questi uomini probabilmente si vedrebbero assegnare dal Dr.Kawashima un età cerebrale di gran lunga superiore a quella realmente posseduta.
Da dove possano attingere le necessarie competenze, a meno di improvvisate faziose e costose consulenze (per le tasche degli italiani), per presentare una mozione a sfavore dello sviluppo del CSP italiano risulta poi essere un mistero:

D'Ali 58 anni Laureato in giurisprudenza.
Quagliariello 49 anni Laurea in scienze politiche
Gasparri 53 anni Maturità classica
Dell'Utri 68 anni Laurea in giurisprudenza

Fuori luogo, e mal supportato numericamente, è il confronto presentato nella mozione, tra le tecnologie CSP e nucleare in termini di ore equivalenti e di ground-ratio.
Subdolo è poi il messaggio che lanciano poi i quattro moschettieri firmatari, invitando il governo a persistere nell’attuazione del piano energetico nazionale (che contiene il rilancio del nucleare), e a puntare su tecnologie più vantaggiose quali fotovoltaico, eolico e biomasse:
Ccà nisciuno è fesso.

Come è possibile non cogliere le potenzialità di sviluppo della filiera solare termodinamica in termini di occupazione e acquisizione di competenze, sembra essere un vero mistero:
l’installazione di 300-500 MWe di potenza elettrica da CSP, entro il 2016, apre ulteriori scenari di occupazione nel campo delle FER e risulta essere propedeutica all’export della tecnologia e al trasferimento di know-how italiano nel mondo:
business-2-business.

La Spagna questo ce lo sta insegnando.
Siamo l’Italia, mi chiedo cosa stiamo ancora aspettando.

di: Alessandro Caffarelli

Antimafia a parole



Il fatto di aver espletato per circa quindici anni le funzioni di Pubblico Ministero in territori caratterizzati da una radicata e forte presenza della criminalità organizzata mi pone come osservatore privilegiato tanto da poter giungere alla conclusione che solo una parte dello Stato intende effettivamente lottare contro le mafie.

La mafia, dopo la stagione delle stragi politico-mafiose degli anni 1992-1993, ha deciso di adottare la strategia politico-criminale tipica della ’ndrangheta, ossia quella di evitare il conflitto armato con esponenti delle Istituzioni e di penetrare, invece, in modo capillare, nel tessuto economico-finanziario ed in quello politico-istituzionale.

L’infiltrazione nell’economia e nella finanza è talmente diffusa in tutto il territorio nazionale che le mafie contribuiscono ormai, in buona parte, al prodotto interno lordo del nostro Paese tanto da far sì che non si possa più distinguere tra economia legale ed economia illegale. Le mafie hanno enormi capitali da investire che rappresentano il provento della gestione del traffico internazionale di droga. Il riciclaggio avviene nel settore immobiliare, nelle finanziarie, nelle banche, nell’edilizia, nel commercio all’ingrosso ed al minuto, nelle società di calcio, nelle società che si occupano di ambiente, nella sanità, nei lavori pubblici; insomma, dove c’è denaro, dove c’è business, le mafie sono interessate.

E quando si controllano, illegalmente, settori nevralgici dell’economia nessun cittadino può dire che si tratta di problematiche a lui estranee, che non lo riguardano direttamente: difatti, se la criminalità organizzata controlla parte del ciclo dell’edilizia si comprende perché gli edifici si frantumano alla prima scossa di terremoto; se la criminalità organizzata gestisce i traffici di rifiuti tossico-nocivi si capisce perché in Italia c’è un’emergenza ambientale e sanitaria senza uguali nell’Unione Europea. La mafia, quindi, non è un problema solo di alcune regioni del Paese, non è un fatto per addetti ai lavori. E’ un’emergenza nazionale: criminale, politica, economica, sociale e culturale.

Attraverso, poi, la gestione illegale della spesa pubblica, il controllo dei finanziamenti pubblici (anche dell’Unione Europea), le mafie, in questi ultimi 17 anni in particolar modo, sono penetrate, in modo articolato e pervasivo, nella politica e nelle Istituzioni. Quando si riesce a controllare parte significativa della spesa pubblica - e mi riferisco soprattutto, in questo caso, alle regioni del Sud Italia, ma non solo - si condizionano appalti e sub-appalti in tutti i settori (ambiente, sanità, infrastrutture, informatica, formazione professionale, ecc.), si decide a chi affidare opere e lavori, quali progetti debbono essere approvati, si condiziona il mercato del lavoro decidendo insieme - criminalità organizzata, politica ed imprenditoria collusa - quali persone assumere ed alla fine si condiziona pesantemente la democrazia attraverso il voto di scambio che trova linfa con il vincolo delle appartenenze.

È nella gestione illegale della spesa pubblica, soprattutto attraverso la creazione di una miriade di società miste pubblico-private, che si realizzano anche le nuove forme di corruzione: non ci sono più, infatti, le valigette dei tempi di Chiesa e Poggiolini, ma le consulenze, i progetti, i posti nelle compagini delle società miste, le assunzioni, gli incarichi. E’ anche qui che avviene l’intreccio criminale tra controllori e controllati, è in questi segmenti che si radica il rapporto collusivo tra criminalità organizzata e pezzi delle Istituzioni: politici - che hanno realizzato anche le nuove modalità di finanziamento illecito dei partiti - funzionari e dirigenti di enti pubblici, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine e dei servizi segreti. Spesso il collante di questi segmenti deviati - non residuali, purtroppo - delle Istituzioni sono centri di potere molto influenti: logge massoniche coperte, lobby, comitati d’affari, club di servizi, strutture talvolta con ampie radici nel mondo ecclesiastico.

Di fronte ad un cancro di tali dimensioni la lotta alle mafie a 360 gradi viene svolta da irriducibili: taluni magistrati ed appartenenti alle forze dell’ordine, singoli politici, esponenti della società civile. Siamo ancora troppo pochi e sotto assedio dei poteri forti e di quelli criminali. Lo Stato, nel suo complesso, invece, si accontenta del contrasto solo ad un certo «livello» di mafia: le estorsioni, il traffico di droga, gli omicidi. Quando si affronta, invece, il nodo fondamentale - quello che rappresenta la linfa vitale del sistema mafioso - i rapporti mafia-politica, mafia-economia e mafia-istituzioni, si rimane isolati: non è più lo Stato che agisce, ma servitori dello Stato.

E’ su questi temi che la storia d’Italia ha conosciuto la stagione degli omicidi politico-mafiosi, è su tali intrecci criminali che si stanno consolidando quelle che si possono chiamare le morti professionali di servitori dello Stato da parte di articolazioni dello Stato stesso: si tratta delle tecniche raffinatissime di neutralizzazione dei servitori dello Stato scomodi, ingombranti, deviati ed antropologicamente diversi per il sistema mafioso. Quello che è più grave è che tali nuove strategie - per nulla estemporanee - avvengono nel silenzio e, in taluni casi, anche con il contributo di chi dovrebbe essere tra i principali alleati di coloro i quali contrastano - non con chiacchiere o passerelle politico-istituzionali - le forme più pericolose ed insidiose delle mafie: quella dei colletti bianchi del terzo millennio.

Ed è su questi temi che ho trovato importanti le immediate prese di posizione congiunte, con riferimento alla lotta alle mafie, al Parlamento Europeo - nelle prime riunioni - tra parlamentari di Italia dei Valori e Partito democratico. Ed è per questo che tutte le forze democratiche del Paese debbono vigilare affinché le indagini in corso presso le Procure di Palermo e di Caltanissetta non subiscano interferenze che possono provenire non solo dalla politica, ma anche dall’interno dello stesso ordine giudiziario: non posso non ricordare che, in epoca assai recente, indagini giudiziarie molto rilevanti proprio sulla criminalità organizzata dei colletti bianchi non sono state fermate dalla mano militare dei Riina e Provenzano di ultima generazione ma dalla carta bollata del Consiglio Superiore della Magistratura che ha trovato convergenze parallele con la politica ed i poteri forti.

Luigi De Magistris

L'Agcom dà ragione a Report contro Tremonti.Al centro del contendere la puntata della trasmissione sulla Social card.


L'Agcom dà ragione a Report contro Tremonti
Al centro del contendere la puntata della trasmissione sulla Social card.
Martina Aureli
Nessuna sanzione per la trasmissione di Rai3 Report. L'Autorità garante delle comunicazioni ha infatti deciso di archiviare l'esposto contro il programma di Milena Gabanelli presentato dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Al centro del contendere la puntata del 5 aprile scorso sulla social card. Secondo il ministro, infatti, in quell'occasione erano stati lesi "i principi di completezza, correttezza e obiettività" dell'informazione. Ma l'Authority non la pensa così: nella delibera di archiviazione, infatti, c'è scritto che "non si rilevano sconfinamenti del diritto di critica", e si precisa che "la tecnica informativa tipica di Report è stata ritenuta legittima dal Tribunale civile di Roma". E così nel prossimo ciclo della trasmissione Report tornerà a fare un bilancio aggiornato dell'operazione social card.


La vita disgraziata della Social card
Ma cos'ha fatto tanto infuriare un autorevolissimo esponente del governo da spingere la Rai, dell'appena nominato direttore generale Mauro Masi, a spedire una puntata di Report davanti al Comitato etico? I sussurri di viale Mazzini indicano un nome che porta al ministero dell'Economia (quello di Giulio Tremonti) e una puntata precisa, quella intitolata "Poveri noi" e dedicata alla Sociale card.Eppure non si trattava di un argomento nuovissimo. La Social card ha suscitato, infatti, l'interesse dei media fin dalla conferenza stampa di presentazione, tenuta soprattutto dai ministro Tremonti e Sacconi. E poi sono arrivate anche le critiche (non tantissime, ma ci sono state, soprattutto per la delusione di vedere la montagna partire il topolino di poco più di 500.000 aventi diritto). Si è parlato anche della difficoltà delle procedure per ottenerla, tanto da spingere Beatrice Magnolfi (del Pd) a parlare di vera e propria via crucis. Si è detto di quelle scariche, che hanno costretto i pensionati ad imbarazzate reazioni di fronte alle casse dei supermercati.
A gennaio scorso si è scatenata una forte polemica dopo i dati diffusi dall'Inps: a fronte di una platea di aventi diritto pari a 1.300.000, solo 420mila erano quelle realmente attivate.


L'inchiesta di Report
Dopo di che, silenzio. Fino all'inchiesta di Report del 5 aprile scorso, “Poveri noi”, tutta dedicata alla Carta acquisti. Un silenzio interrotto dalla voce del coordinatore nazionale dei Caf, Valeriano Canepari, che pochi giorni prima della puntata, denunciava a ilsalvagente.it: “A nessuno interessa più parlare di Social card e Bonus famiglia”.
Fino al 5 aprile, la data della puntata di Report che qualcuno in alto non ha gradito.


Un confronto impietoso tra annunci e risultati
Ma cosa può aver dato fastidio al ministro del Tesoro, che è apparso nell'inchiesta di Report, anche se visibilmente seccato dalle domande della giornalista dopo il servizio sul confronto europeo?
Possiamo solo immaginare…
E se il buongiorno si vede dal mattino, l'inizio della puntata è stato senza dubbio di forte impatto. Le prime immagini erano quelle della conferenza stampa di Tremonti a novembre scorso, in cui si presentava trionfalmente l'iniziativa. E poi le cifre secondo il ministro: “Il nostro obiettivo è distribuire la carta a una platea che, in base ai nostri conti, è pari di un milione e 300 persone”. Poi la voce della giornalista Giovanna Buorsier fuori campo: “A dicembre le persone che hanno ricevuto la lettera del ministero sono 520 mila”.
Numeri discordanti, che aprono una crepa tra risultati attesi ed effettivamente raggiunti.
Può essere stato questo il problema? Aver inquadrato con le telecamere l'orgoglio dell'annuncio e citato a voce il contrasto con i dati?

E c'è anche lo svarione Robin Tax
Forse. O magari è stato il fatto che intorno alla Social card giravano altre scelte del ministero del Tesoro. E ancora in conferenza stampa Tremonti: “Parte della social card sarà finanziata con una minima parte della Robin Hood Tax”. La tassa che prende il nome dal ladro di Sherwood che rubava ai ricchi per dare ai poveri, è dovuta al fatto che si “preleva” dalle compagnie petrolifere, banche, e assicurazioni, per ridistribuire ai meno abbienti le risorse.
Ma in tempo di crisi è stata una scelta strategica? Report lo chiede all'economista Tito Boeri: “All'epoca della Robin Tax il petrolio costava 166 dollari al barile, e andava verso i 200. Ora, con la crisi, è sceso a 30 dollari”. Un bello schiaffo morale al “preveggente” ministro che aveva visto la crisi prima degli altri.
Ma non basta. Di nuovo Tremonti in conferenza stampa: “La Robin Tax ha avuto, ha un gettito di 4 miliardi”. Dato smentito da Aldo Polito, dirigente dell'Agenzia delle Entrate: “La 'tassa' si paga entro il 16 giungo. In pochi hanno già provveduto”. Il grosso? “Lo vedremo a giugno”, risponde Polito alla giornalista. Che conclude: “Se si incasseranno 4 miliardi lo sapremo, quindi, tra qualche mese”.

La “beffa” dei poveri
Brutta figura anche con le interviste ai pensionati in fila alle poste. Prima ai Caf, poi all'Inps, le Poste, di nuovo ai Caf. Procedure complesse: “Un casino”, il secco commento di uno degli intervistati. Quindi la delusione di chi rientrava nei limiti di reddito, ma non nelle altre condizioni di accesso: età, utenze elettriche, macchine, immobili. Era stato raccontato nei giornali, forse guardarle negli occhi, queste persone, era troppo.

Il giro di soldi intorno a Mastercard e Poste
Poi la domanda che si sono fatti in tanti: perché non accreditare direttamente nelle pensioni, risparmiando in procedure e soldi? Ed ecco i conti: “A fronte di 2 milioni di carte stampate, ne sono state attivate 717mila”. Quanto è stato speso? Lo ricostruisce la Gabanelli in studio: “Un totale di 21 milioni di euro. Nel dettaglio: 2 milioni e qualcosa per le carte; 400.000 per spedire le lettere ai presunti beneficiari. Altri 10 milioni e mezzo ai Caf che aiutavano a compilare le domande; e 2 milioni, poi, per il call center e la macchina della pubblicità.
Il ministro lo sa? Tremonti rispondeva che al momento non era in grado di dirlo con esattezza. “Comunque, le diamo i dati”. Ma intanto, questi il pubblico ha visto e sentito.

Una conclusione amara
E ha visto e sentito tutto il resto. Report ha fatto le domande che si facevano da mesi utenti, pensionati e giornalisti. Ha avuto le risposte intervistando Inps, Agenzia delle Entrate, Caf, e un dipendente anonimo del Ministero del tesoro. Fonti autorevoli.
Che avrà mai da ridire il Comitato etico della Rai? La Federazione nazionale della stampa scriveva ieri in un comunicato che l'inchiesta “aveva il torto di non essere piaciuta a qualche ministro”.



da: il salvagente

mercoledì 5 agosto 2009

Intervallo

Ciao a tutti... Le ferie ci faranno ricaricare le batterie per continuare a informarvi su quello che accade in questa piccola Italia di furbi !


martedì 4 agosto 2009

Ponte sullo stretto e le contestazioni represse


Al vincitore le banane


Dopo aver destato l’attenzione pubblica internazionale per alcuni giorni, il caso del colpo di stato in Honduras, è rapidamente caduto nel dimenticatoio, pur non essendo ancora risolto.
D’altronde l’importanza politica ed economica dell’Honduras è comparabile a quella dell’Italia del rugby: praticamente irrilevante. Ed è prontamente in questi momenti di bisogno di una nazione che gli altri popoli tirano fuori il meglio di sé e si uniscono in un commovente sentimento di indifferenza globale.
Eppure un merito il piccolo Stato dell’America Centrale ce l’ha: quello di essere l’originale Repubblica delle Banane. L’appellativo gli fu dato dall’umorista americano William Porter, che vi risiedeva all’inizio del ventesimo secolo. Da allora l’espressione è stata usata ed abusata per indicare Paesi con governi corrotti ed economia basata su un unico prodotto (è bene notare che non vale per l’Italia: la nostra economia non è basata su di un unico prodotto).

Ma tornando alla original Banana Republic, dopo i 5 minuti di celebrità previsti dal buon Andy Warhol, la questione del golpe è oggi puntualmente snobbata dalla stampa internazionale a vantaggio del gossip estivo, come giustamente il mio esimio collega faceva notare nel precedente post.

Se ci fossero in gioco petrolio ed altre ricchezze gli F-16 americani starebbero già sfrecciando sui cieli honduregni sganciando bombe a destra e a manca, ma poiché in gioco ci sono solo banane l’unica cosa che la comunità internazionale ha fatto è stata schierarsi a favore del presidente deposto Manuel Zelaya affermando la necessità di un suo pronto ritorno alla leadership del Paese. Per il bene della democrazia.
Giusto. Lo pensavo anche io quando ho letto inizialmente (e anche un po’ distrattamente) la notizia del colpo di stato honduregno. Ma poi mi sono documentato meglio ed a ben guardare la questione non è così semplice come sembra.

Qui non si tratta di un movimento militare ed autoritario contro un governante che non appoggia le ideologie delle Forze Armate. È vero semmai il contrario: un governante autoritario di un paese democratico che approfitta della stessa democrazia per sabotarla. Un paradosso. Il presidente odiato in patria diventa una causa nobile all’estero.

Ricapitolo brevemente gli accadimenti.
Zelaya chiedeva un plebiscito per poter modificare la Costituzione e consentire la sua rielezione. Nemmeno il suo partito lo ha appoggiato. Questo perché lo stesso testo costituzionale afferma che solo il Congresso può modificare la massima legge del Paese e proibisce espressamente la modifica della durata del mandato presidenziale e la rielezione.
È interessante notare che la Costituzione che il presidente voleva violare ha garantito in Honduras inediti 27 anni di stabilità politica e democrazia, proprio grazie a questi tipi di misure preventive di perpetuazioni abusive di potere.
Ebbene, pur con il rifiuto del Parlamento, il presidente ha insistito nel suo proposito e, nonostante il successivo divieto della Corte Suprema, ha ugualmente indetto il referendum.
Poiché la Costituzione non prevede l’impeachment, l’opposizione è passata ad una soluzione, diciamo così, più pratica. L’esercito ha prelevato Zelaya in piena notte quando era ancora in pigiama e trasportato verso un aeroporto militare, da cui è stato espatriato verso la Costa Rica.

Come si deduce, la situazione non è nitidamente democratica né tantomeno antidemocratica.
Chi sono gli oppressi e chi gli oppressori?
I militari si sono fatti portatori della volontà popolare (almeno della maggioranza) ed hanno l’appoggio del Legislativo e della Corte Suprema.
Il presidente era in carica legalmente ed ancora nel suo mandato, ma violando la Costituzione si è posizionato contro la legalità. Un fuorilegge quindi.
Le forze militari devono obbedire al proprio leader o alla Costituzione?
Si presume alla seconda, ma di certo un abuso da un lato non ne autorizza un altro dal lato opposto. Una soluzione diplomatica sarebbe stata auspicabile. Ma cosa accade quando un governante non accetta il dialogo?
Con questo non voglio assolutamente dire che giustifico il colpo di stato, ma neanche giustifico l’appoggio tout court a favore di Zelaya.

Insomma quantomeno se il presidente ha violato la legge non può di certo meravigliarsi che i suoi oppositori abbiano fatto altrettanto.

Il problema è quindi più delicato di quanto possa sembrare.
Ma quando sarà risolto avremo scoperto la sottile differenza che esiste tra una democrazia ed una banana.

da Fuoco incrociato

Le vacanze di Papi e il servilismo della stampa



Non vogliamo essere accusati di usare fonti della parte sbagliata, quindi la prima notizia la riportiamo da Il Giornale, edizione del 16 luglio. Dopo aver spiegato come Colui Che Tutto Può risolverà con uno schiocco di dita i problemi del terremoto, il giornalista ci dice:

Durante i lavori del G8 il premier aveva annunciato che avrebbe trascorso il mese di agosto all'Aquila, per seguire da vicino i lavori della ricostruzione. C'è curiosità per sapere dove alloggerà Berlusconi. Lui fa sapere di "non aver ancora trovato la casa, stiamo vedendo, ma credo l'idea finale vi deluderà". Più tardi chiarisce il concetto: "Stanno cercando di convincermi a venire qui nella cittadella di Coppito (quartier generale del G8, ndr)".

Quanto tempo è passato, addirittura due settimane. Sufficienti per cambiare i piani del premier. Ecco cosa ci racconta oggi l'organo di famiglia.

«Ora faccio dieci giorni di cura sportiva perché con tutto il cortisone che ho preso per i dolori al collo devo smaltire un po’». La prima tappa a Milano, poi una destinazione top secret per buttar giù qualche chilo. Confermata una puntata a villa La Certosa, buen retiro in Costa Smeralda, al centro delle polemiche nello stucchevole capitolo gossip: «Dal 10 al 20 agosto, forse fino al 25, sarò in Sardegna dove mi raggiungeranno i figli con tutti i nipoti». Relax e riposo familiare ma non solo. Come più volte annunciato, il premier non abbandona L’Aquila e l’Abruzzo: «Certo che ci andrò, ci sarò uno o due giorni a settimana: ci sono sempre da prendere decisioni importanti - risponde ai giornalisti prima di volare verso Arcore -; lì stiamo facendo grandi cose: non solo le case ma anche le villette».

Mica male. Il ''mese di agosto trascorso all'Aquila'' si è trasformato in una puntatina settimanale. Niente casa a Coppito. L'Unto dal Signore probabilmente piglierà l'elicottero dalla Sardegna dopo colazione, si farà fotografare in Abruzzo con qualche sventurato che Lui ha estratto con le Sue mani dalle macerie e poi tornerà alla villa, supponiamo in tempo per il pranzo.


Ora, non è che uno proprio si aspetti il massimo dell'imparzialità dal Giornale. Ma un trattamento molto simile si può vedere, ad esempio, sul Corriere. Con addirittura il titoletto ''In Abruzzo una o due volte la settimana'', senza menzione della precedente promessa di passare il mese nella regione.


Oppure sul Sole 24 Ore, anch'esso completamente dimentico della promessa precedente. Siccome sono debole di stomaco non guardo i telegiornali, ossia la fonte di informazione più diffusa tra gli italiani, ma sarei veramente sorpreso se il trattamento fosse diverso.

Chiariamo una cosa. È meglio che Berlusconi non vada in Abruzzo. Non ci fa nulla, se non farsi seguire da torme di fotoreporter per inanellare il servizio televisivo o la foto d'occasione. Ammesso e non concesso che l'attenzione personale di Berlusconi aiuti nella gestione del post-terremoto, tale gestione può tranquillamente essere fatta da Roma o da Arcore.


No, quello che veramente è snervante è il modo sistematico in cui Berlusconi può raccontare balle senza essere stanato. In un pezzo che pure in Italia aveva ottenuto qualche attenzione, il Times aveva scritto di Berlusconi:

What is most shocking is the utter contempt with which he treats the Italian public.
[Traduzione: La cosa più incredibile è il profondo disprezzo con cui tratta gli italiani]


Di questo disprezzo per gli italiani, e per gli abruzzesi in particolare, oggi abbiamo avuto un altro, seppur piccolo, esempio. Corredato da dimostrazione pratica del servilismo della nostra stampa.

da Noisefromamerika

LA FREGATURA DEL NUCLEARE


Per le nuove centrali nucleari Italiane lo Stato non darà alcun sussidio perché la loro costruzione sarà interamente finanziata dagli operatori privati. Lo ha dichiarato qualche giorno fa il ministro Scajola a margine dell'inaugurazione del cantiere di Mochovce, in Slovacchia, dove Enel sta costruendo due unità nucleari. Peccato che sia una menzogna. Il “nuovo” nucleare costerà molto alle indebitate casse dello stato ed Enel avrà tutti gli aiuti che servono. Anzi qualcuno l’ha già avuto. Per esempio, l’aver fatto pagare alle famiglie italiane un contratto che riguarda la messa in sicurezza di materiale radioattivo di sua proprietà. Negli anni 80 la Francia, la Germania e l’Italia si accordarono per sviluppare un progetto di reattori veloci che si sarebbero alimentati con le scorie prodotte da loro stessi. Fu usato il termine di centrali autofertilizzanti.



Di quel fallimentare progetto è rimasta una vecchia centrale a Cres Melville, in Francia, dove sono anche stoccate le barre di plutonio usate durante la breve vita dell’impianto. Un terzo di quel combustibile nucleare è di Enel che nel 1998 stipula un contratto per tenerle presso la centrale. Quel contratto aveva una clausola: entro il 2007 l’Enel doveva riprendersi le barre oppure pagare perché fossero ritrattate in Francia, trasformate in rifiuti radioattivi e quindi riconsegnate. Il 30 aprile dell’anno scorso il governo Berlusconi, usando l’azienda pubblica Sogin, perfeziona quell’accordo pattuendo il ritrattamento in 170 milioni di Euro. Il contratto prevede anche un ulteriore spesa di 133 milioni per la cessione a terzi del plutonio recuperato. Le scorie rienteranno entro il 2025.

Il problema è che nel definire il perimetro degli oneri nucleari il legislatore non aveva menzionato le scorie francesi. Quelle erano parte di un accordo di Enel con Edf che non rientrava nello smantellamento del sistema nucleare italiano. Eppure a maggio del 2008 la Sogin - per conto del governo - chiede all’Autorità per l’Energia ed il Gas, che ha il compito di erogarle i fondi per lo smantellamento, i soldi per onorare quel contratto. L’Autorità eroga quei soldi (del Arg/elt 57/09) “in via provvisoria” solo perché il governo le promette di sanare la situazione a posteriori modificando il decreto ministeriale del26 gennaio 2000, cioè la legge che definisce quali sono gli oneri nucleri



Nella sostanza: visto che il governo, maggior azionista di Enel, non vuol far pagare alla sua azienda quei soldi, li fa pagare alle famiglie italiane usando impropriamente fondi per lo smantellamento dei vecchi impianti nucleari. La legge non lo permette? Il governo sanerà la situazione a posteriori modificando a suo pro una vecchia legge. Funziona cosi la democrazia in Italia. Ma non è finita. Un’altro aiuto è arrivato solo qualche settimana fa grazie alla legge “Sviluppo” approvata dal Parlamento il 9 luglio. Con questa legge si ordina al Gestore della Rete Elettrica di immettere in rete “tassativamente” una determinata quota di energia prodotta dagli impianti nucleari “costruiti sul territorio italiano”.

Questo è possibile modificando retroattiva un legge del marzo 1999 - una consetudine ormai - che voleva favorire la produzione di energia da fonte rinnovabile. E’ infatti bastato aggiungere alla frase “fonti energetiche rinnovabili” le parole “energia nucleare prodotta sul territorio nazionale” ed il gioco è stato fatto. Inoltre con quella stessa legge le fonti rinnovabili vengono tassate indirettamente perché si costringe il produttore a pagare l’onere per la trasmissione e la distribuzione anche se la produzione e l’utilizzazione di quell’energia elettrica è sul posto. Una tassa occulta? Dire che il nucleare serve al paese è una bugia. Ed infatti nella sua ultima uscita il ministro Scaiola ha corretto il tiro. Ha detto che “sarà un’affare”. Siamo daccordo con lui. Sarà un affare. Per questo governo.

da Altre Notizie

Stato militare - Inceneritore di Acerra, licenziati 33 operai, fermati dai militari

Elettra Energia manda a casa le maestranze: «Dopo 8 anni siamo stati messi alla porta da un maresciallo»


NAPOLI — Il termovalorizzatore di Acerra diventa off limits per 33 operai: dalla sera alla mattina tutti licenziati. A consegnare le lettere di ‘‘risoluzione del rapporto di lavoro’’ un maresciallo in an­fibi e mimetica. Ché l’impianto man­gia- rifiuti è presidio militare. Ma la veri­tà sta nel fatto che la Elettra Ener­gia, la società novarese che gestisce l’inceneritore e cui fanno capo gli operai, si è sentita più sicura se fos­se stato un militare a fronteggiare i licenziati; non si è voluto esporre il management al rischio di intempe­ranze. Che in verità non ci sono sta­te, tanto è risultata stordente la noti­zia per quanti, da 8 anni, sia di gior­no che di notte hanno prima monta­to l’impianto e poi fatto funzionare.

Pasquale Pignatiello, 24 anni, l’al­tro ieri sera ha salutato moglie e fi­glio per andare al lavoro; sarebbe stato di guardia al settore ‘‘Fossa scorie’’, un catinone nel quale precipitano tutti i residui ferrosi o di metallo che l’inceneri­tore non brucia; al proprio settore Pa­squale non ci è mai arrivato. «Avrei do­vuto montare alle 23», ricorda, «dopo cinque minuti avevo in mano la lettera di licenziamento». E con le stesse modali­tà è stata consegnata a tutti gli altri 32 operai, a seconda dell’orario di arrivo. «Sono entrato — riprende — ho passato il badge nel marcatempo e subito dopo mi si è fatto davanti un maresciallo che mi ha chiesto di consegnarli il tesseri­no ». I 33 operai, quasi tutti napoletani, per la maggior parte con famiglia a cari­co ora si sentono traditi e illusi dalle pro­messe fatte nelle scorse settimane dal prefetto ai sindacati sul loro futuro occu­pazionale. «L’accordo — spiega Pignatiel­lo — prevedeva che fino al 15 settembre non ci sarebbero stati né licenziamenti, né nuove assunzioni. Così, invece, è una beffa. Il prefetto aveva anche promesso un incontro con il sottosegretario Guido Bertolaso per chiarire la nostra situazio­ne ». Perché ‘‘il rapporto di lavoro sarà contestualmente risolto’’, come si legge nelle lettere? I lavoratori hanno riferito che il termovalorizzatore a breve sarà gestito dalla A2A, la multi­utility nata il primo gennaio 2008 dalla fusione tra Aem Milano e Asm Brescia, al­lorquando la Elettra Ener­gia avrà terminato la fase di commissioning (avvio e collaudo dell’impianto)

I tagli effettuati dal­l’azienda sarebbero, secon­do gli stessi lavoratori, di circa il 70 per cento dell’inte­ro organico. Qualcuno al lavo­ro è rimasto, ma - dicono - sempli­cemente per completare l’affiancamen­to degli addetti che porterà A2A, alla fine andranno via anche loro. «Perché l’azien­da — riferisce Pignatiello — ha detto che assume chi vuole». Il giovane napoleta­no perderà 1.600 euro di stipendio; tre giorni sull’impianto e uno di riposo. «Il nostro capo del personale — ha spiegato — che pure avevamo visto la sera prima, ci ha raccontato che non era a conoscen­za dei licenziamenti, ma che è stata una decisione presa direttamente a Novara dove ha sede l’azienda. Le lettere ci sono state consegnate dai militari. Una proce­dura alquanto anomala e che ci lascia per­plessi e amareggiati. Molto probabilmen­te l’azienda temeva una nostra reazione, ma noi siamo gente pacifica e lo abbia­mo dimostrato anche con le proteste del­le scorse settimane». Lunedì gli operai avranno un incontro con i propri delega­ti sindacali, per martedì è prevista una manifestazione di protesta davanti ai cancelli del termovalorizzatore. Pacifica annunciano. E piena di amarezza.

Patrizio Mannu
da Corriere del mezzogiorno

lunedì 3 agosto 2009

Banca cattolica investe in armi, anticoncezionali e tabacco

I dirigenti dell'istituto di credito che predicava investimenti etici ligi al cattolicesimo si sono subito scusati pubblicamente


La Chiesa cattolica si batte strenuamente da anni contro la guerra, contro l'uso della pillola anticoncezionale e per la salute dei cittadini, eppure il giornale Der Spiegel ha scoperto che la banca tedesca Pax ha investito migliaia di euro in società che vanno contro la sua stessa etica. In particolare, 580mila euro in azioni della "Bae Systems", società inglese produttrice di armi, 160mila euro nella pillola contraccettiva Wyeth e 870mila euro in partecipazioni in società di tabacco. La banca si è scusata per il comportamento "non conforme a standard etici". La Pax promuoveva gli investimenti in fondi etici, specialmente dichiarando l'esatto contrario ossia di evitare investimenti in società produttrici di armi e tabacco perchè non consoni a una organizzazione la cui azione è ispirata alla fede cattolica. La Chiesa condanna la contraccezione dal 1968 e l'uso della pillola contraccettiva è considerata un "grave peccato".

Un rappresentante della Pax Bank ha dichiarato che i loro errori verranno corretti immediatamente senza alcuna conseguenza pregiudizievole per i nostri clienti, in quanto sfortunatamente tali investimenti sono sfuggiti ai controlli interni, e ha ringraziato il giornalista tedesco di Der Spiegel per aver sollevato la questione.

Allora i giornalisti ficcanaso servono !!!!!!!!!!!!

da Peacereporter

Saviano: perché Pecorella infanga don Peppe Diana?

di ROBERTO SAVIANO





MI è capitato nella vita di fare pochissimi giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la memoria di chi nella mia terra è morto per combattere i clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana il giorno in cui alcuni cronisti locali, alcuni politici e diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione pubblica iniziarono un lento e subdolo tentativo di delegittimarlo.

Il venticello classico di certe parti d'Italia che calunnia ogni cosa che la smaschera; il tentativo di salvare se stessi dalla scottante domanda "perché io non ho mai detto o fatto niente?". Ho letto in questi giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente della commissione giustizia, difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De Falco, poi condannato come mandante dell'omicidio di Don Peppe Diana. Mi ha colpito e ferito sentire alcune dichiarazioni dell'Onorevole Pecorella in merito all'assassinio di Don Peppe Diana. In una intervista al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21, Pecorella dichiara: "Io dico che tra i moventi indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso perché si volevano deviare le indagini che erano in corso su un altro gruppo criminale. E altri hanno riferito anche il fatto che conservasse le armi del clan. Nessuno ha mai detto perché è avvenuto questo omicidio, visto che non c'erano precedenti per ricostruire i fatti. Se uno conosce le carte del processo, conosce che ci sono indicate da diverse fonti, diversi moventi".

Proprio leggendo le carte si evince chiaramente che non è così, Onorevole Pecorella. Perché dice questo? È vero esattamente il contrario. Dalle carte del processo emerge invece che è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte di Cassazione del 4 marzo 2004 conferma che Don Peppe è stato ucciso per il suo impegno antimafia e per nessun'altra ragione. Che De Falco (di cui lei, Onorevole, ha assunto la difesa) ha ordinato l'uccisione di Don Peppe per dimostrare, uccidendo un nemico in tonaca, un nemico senza armi, che il suo gruppo era più forte e coraggioso di quello di Sandokan. E anche per deviare la pressione dello Stato proprio sul clan Schiavone. Quelli che lei definisce più volte "moventi indicati" furono, come dimostrano le sentenze, delle calunnie che alcuni camorristi portarono per lungo tempo in sede processuale per discolparsi. Calunnie nate dal fatto che persino loro cercavano di lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del sangue innocente che avevano versato. Ne avevano vergogna. Questo è quel che dicono gli iter conclusi della giustizia italiana. Ed è per questo che la risposta che l'Onorevole Pecorella ha dato appena qualche giorno fa alla domanda se Don Diana, a suo avviso, non fosse stato ucciso per il suo impegno contro i clan lascia basiti.

L'onorevole dice: "Io non ho avvisi. Io riporto quello che è emerso nel processo e nulla più. Ci sono diversi moventi, c'è anche quello, che all'inizio non era emerso, che faceva attività anticamorra. Per la verità nel processo non è venuto fuori molto chiaro neanche questo come movente. È inutile che costruiamo delle fantasie sulle ipotesi. Quella dell'impegno anticamorra è tra le ipotesi. Ma nel processo non è emerso in modo clamoroso, non è mai venuta fuori un'attività di trascinamento, di gente in piazza. Non è che c'erano state manifestazioni pubbliche, documenti. Qualcuno ha detto anche questa ragione. Come vede ci sono tanti moventi. Certamente è stato ucciso dalla camorra. Chi viene ucciso dalla camorra è una vittima della camorra. Ora se è un martire bisogna capirlo dal movente che non è stato chiarito".

È stato chiarito. Lo Stato Italiano considera Don Peppe un martire della battaglia antimafia, migliaia di persone hanno sfilato in sua difesa. E i documenti che non ci sarebbero, ci sono eccome. Hanno non solo un nome, ma anche un titolo: "Per amore del mio popolo non tacerò". È il documento stilato da Don Peppe insieme ad altri preti della forania di Casal di Principe in cui viene annunciata una battaglia pacifica, ma priva di compromessi alle logiche dei clan, al loro predominio, alla loro mentalità, alla loro cultura, alla loro falsa aderenza alla fede cristiana. Persino Papa Giovanni Paolo II, dopo la morte di Don Peppino Diana, pronunciò nell'Angelus: "Voglia il signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro [...] produca frutti [..]di solidarietà e di pace". Per Giovanni Paolo non ci furono dubbi, fu un martire. Per Lei, Onorevole Pecorella, invece ce ne sono. Perché, mi chiedo?

Le chiedo inoltre se considera legittimo rivestire il ruolo di Presidente della Commissione Giustizia del Parlamento Italiano e portare avanti la difesa del boss Nunzio De Falco? Lei immagino mi risponderà di sì, che anche il peggiore dei presunti criminali, ne ha il diritto. Ma questo principio di garanzia vale soltanto fino al verdetto finale. Tale verdetto di colpevolezza del suo mandante è stato emesso e confermato. Quindi la prego di non diffondere falsi dubbi sulla condanna a morte di Don Diana. Chi ha ucciso Don Peppe Diana è uno dei clan più potenti e feroci d'Italia che ha ancora due latitanti, Iovine e Zagaria, liberi di investire, costruire, e portare avanti i loro affari.


Oggi, Onorevole Pecorella, lei è presidente della commissione d'inchiesta sui rifiuti, e i Casalesi, come saprà, sono i maggiori affaristi nel traffico di rifiuti tossici e legali. Loro quindi dovrebbero essere i suoi maggiori nemici anche se in passato ha difeso in sedi processuali i loro capi. La prego di avere rispetto per Don Peppe e non dare nuovamente credito a calunnie che negli anni passati killer e mandanti hanno cercato di riversare su una loro vittima innocente. Questa mia domanda non è questione di destra o di sinistra. La legalità è la premessa del dibattito politico, o almeno dovrebbe esserlo. La premessa e non il risultato. Quando iniziai a trascrivere delle parole che Don Peppe aveva detto nel Casertano ho ricevuto lettere commosse da molti lettori conservatori, da cattolici di Comunione e Liberazione sino ai ragazzi della Comunità di Sant'Egidio, dalla comunità ebraica romana e da tante altre.

La battaglia alle organizzazioni criminali, l'ho vista fare da persone di ogni estrazione politica e sociale. Ho visto, quando ero bambino, manifestazioni nei paesi assediati dalla camorra in cui sfilavano insieme militanti missini, democristiani, comunisti e repubblicani. L'onestà non ha colore, spesso così come non ne ha l'illegalità. Per questo, il mio non è un appello che possa essere ascritto a una parte politica. Non permetterò mai a nessuno, e come dicevo me lo sono giurato, che la memoria di Don Peppe sia oltraggiata da accuse false, demolite dai Tribunali, che ebbero il solo scopo di screditare le sue parole, emettendo nel silenzio il ronzio malefico "quello che dice non è vero". Questo non lo permetterò. Lei mi dirà che questa mia è una battaglia troppo personale. Io le ribadirei che, sì, lo è, è vero. Tutto ciò che riguarda la mia terra, ormai riguarda la mia vita stessa e quindi non può che essere personale. Difendere la memoria di Don Peppe Diana è una questione personale anche per un'altra ragione: è una questione di onore. Onore è una parola che spesso hanno abusivamente monopolizzato le cosche facendola diventare sinonimo del loro codice mafioso. Ma è il tempo di sottrarla alle loro grammatiche. Onore è il sentire violata la propria dignità umana dinanzi a un'ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi, è agire per difendere ciò che merita di essere difeso. E io l'onore, l'ho imparato qui a Sud. Per meglio spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: "Tu non puoi capirlo dovresti esserci nato. In realtà essere del Sud è una cosa complessa. Comporta un'eredità di grandezza e di miseria, di conflitti interiori e di fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il senso aristocratico dell'onore e dell'orgoglio". Mi piacerebbe poter mettere una parola definitiva su questo. Su quanto accaduto a don Peppe. Permettere di farlo riposare in pace. Riposare in pace significa non chiamarlo in causa laddove non può difendersi. A volte, come accade a molti miei compaesani per cui conserva il suo valore, mi viene di rivolgermi a lui. Don Peppe se è vero che tu hai visto la fine della guerra, perché, come dice Platone, solo i morti hanno visto la fine della guerra, sta a noi vivi il compito di continuare a combatterla. E non ci daremo pace.

La Rai si immola per far godere il puttaniere



Per quei pochi che non avessero capito lo ridiciamo maniera chiara perché è una roba da matti e la tipica notizia alla quale uno tende a non dare importanza quando invece ne ha moltissima:

1) il padrone di Sky, nonché capo del complotto comunista Rupert Murdoch (come Ugo Tognazzi era capo delle BR), offriva alla RAI 50 milioni di Euro l’anno in gettoni d’oro, come a Rischiatutto, per 7 anni (totale 350 milioni, 700 miliardi del vecchio conio, una manovrina) per trasmettere Rai Sat Extra, Rai Sat Premium eccetera, nonché RaiUno, Due e Tre (che saranno da ora in parte criptati) nei suoi pacchetti.


2) La Rai, in cambio di nulla, ha deciso di dire “no” a quest’offerta. Insomma a deciso di tagliarsele per far dispetto a Murdoch e impedirgli di poter dire ai suoi quattro milioni e dispari di utenti di avere un’offerta completa. Considerate che con quei 50 milioni di Euro il servizio pubblico ripianava la metà del suo passivo, che è pari a 120 milioni l’anno, e che non c’è nessun altro soggetto sul mercato disposto a pagare né di più né di meno della cifra offerta da SKY. Insomma dire “no” a Murdoch è una perdita secca e quei canali, sui quali pure qualche doblone era stato investito nell’ultimo lustro, per un bel pezzo diverranno clandestini e non li vedrà più nessuno. Che ci guadagna la RAI a rinunciare ai soldi di Murdoch? Nessuno è riuscito a spiegarlo.

3) Murdoch pagava (troppo poco?) per offrire agli abbonati della parabola un servizio aggiuntivo. Così tutti erano contenti, Murdoch che vendeva, la RAI che incassava e gli spettatori che guardavano. Situazione intollerabile per il fido scudiero Mauro Masi (nella foto a destra), che a Berlusconi deve tutto, da aprile direttore generale della RAI. Detto fatto: adesso Murdoch non offre più il servizio, gli spettatori hanno bisogno di un altro
mauro masi
decoder (e se vogliono vedere tutto spenderanno fino a 120 Euro al mese) e la RAI perde 50 milioni l’anno. Un affarone! In cambio il servizio pubblico sale col suo principale concorrente, che incidentalmente è il capo del governo, sul carro di Tivusat (la piattaforma satellitare di Mediaset+RAI) della quale nessuno al mondo sentiva l’esigenza e dalla quale non guadagna una lira. Non solo: obbliga gli spettatori a comprare un altro decoder, il terzo, oppure a rinunciare a SKY e magari comprare i pacchetti Calcio su “Mediaset premium” che stranamente sembra molto più avanti della RAI nel monetizzare la digitalizzazione. In pratica sono (quasi) tutti scontenti: Sky, la RAI, che ha ai suoi vertici uomini imposti dalla concorrenza e i telespettatori.

4) E’ evidente che Murdoch aveva beneficiato finora di una Mammì satellitare diventando monopolista delle parabole così come la Mammì di Craxi (quello celebrato da Veltroni) aveva consegnato l’Italia nelle mani di Silvio Berlusconi. Chissà, qualcosa di diverso si poteva fare, magari democratizzando l’accesso al mercato televisivo e non semplicemente redistribuendo risorse tra tre soli soggetti per avvantaggiare Mediaset. Siamo troppo visionari se pensiamo che l’IPTV, l’investire nell’aumento di banda disponibile, abbasserebbe l’assicella della concentrazione necessaria all’accesso al mercato televisivo permettendo a molti soggetti di stare sul mercato mentre invece le “piattaforme satellitari” cristallizzano l’esistente intorno ai soliti 2-3 soggetti?

5) Dovrebbe essere chiarito innanzitutto agli spettatori/elettori di Raiset che da quello che bolle o è bollito in pentola sul mercato televisivo hanno solo da perdere. La Gasparri, con l’invenzione del digitale terrestre, obbliga a buttar via (e smaltire!) milioni di vecchie ma funzionanti televisioni analogiche, magari in seconde case usate dieci giorni l’anno, in cambio di servizi a pagamento che potevano essere offerti altrimenti. Quest’ultima decisione della rinuncia della RAI ai soldi di Murdoch obbliga inoltre gli spettatori a comprare un ulteriore decoder per vedere quello che avevano già incluso nel pacchetto SKY fino a ieri. L’unico che ci guadagna è sempre lui, Silvio Berlusconi.

Insomma che ci scandalizziamo per l’illusionismo sulla sorte dei terremotati dell’Aquila o per le prestazioni della prostituta Patrizia D’Addario, tutto è solo fumo perché quando guardi al flusso del denaro e del potere torni sempre lì, alla scatola magica con la quale fa e disfa carriere, compra e vende come al mercato e soprattutto manipola l’opinione pubblica, la tivù, il vero, unico cuore del potere berlusconiano.

di Gennaro Carotenuto

Energia elettrica prodotta dal sole in agricoltura